L’imponente pala che svetta nell’altare maggiore della chiesa di Sant’Antonio Abate non è visibile abitualmente al pubblico e ripercorrerne le vicende costituisce una tappa obbligata.

L’artista lavorò ad «un Sacro Cuore con S. Antonio Abate e S. Antonio Maria dei Barnabiti» per l’altare maggiore della chiesa, già segnalata da Corrado Ricci nella Guida di Bologna del 1902.
Erano passati dallo stesso altare Vitale da Bologna, con il ciclo dedicato a Sant’Antonio Abate e successivamente Ludovico Carracci, con la pala oggi a Brera.
L’opera di Fabbi fu commissionata da Padre Francesco Fracassetti e grazie all’Archivio Fabio Fabbi si rende pubblico per la prima volta il bozzetto realizzato nel giugno dello stesso anno. Fotografie uniche presentano lo studio preparatorio, di piccole dimensioni, che palesa certamente uno stile agevole e dinamico che, viceversa, si depura completamente nell’opera finita, raggiungendo apici di purismo dall’ispirazione visibilmente settecentesca.

L’artista riportò nel retro della fotografia che l’opera fu terminata a dicembre 1902 indicando: «1 dicembre 1902, quadro eseguito per l’altare maggiore della chiesa dei Bernabiti a Bologna in via d’Azeglio». La fotografia fu scattata nello studio del pittore.

Sono presentati il santo titolare Sant’Antonio Abate in abito di frate cappuccino in atto di misericordia, e San Zaccaria, fondatore dei Barnabiti che era stato canonizzato nel 1897. Centrale rispetto ai Santi è la figura di Cristo, che svetta solenne assieme al Sacro Cuore: la chiesa per un certo periodo fu dedicata al Sacro Cuore di Gesù, da qui la scelta dell’iconografia. I nostalgici della pittura di Fabbi si troveranno a proprio agio soprattutto nel festone di frutti e foglie appoggiato sugli scalini in primo piano, che tradisce certamente il suo stile.
Ma le sorprese non sono finite.
Ci appare un dettaglio inaspettato sotto la firma «Fabio Fabbi 1902». Un simbolo che ricorre spesso nella sua produzione: un occhio dalle ciglia dorate che si trasformano in lunghi tentacoli serpentiformi. Fabbi lo disegnò in un francobollo del 1900 chiamandolo “Apoplektus” e continuò ad utilizzarlo in numerosi dipinti e perfino nella sua carta da lettere privata assieme alla sue iniziali.
Oggi quel simbolo è diventato il logo dell’archivio.
dott.ssa Francesca Sinigaglia
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